Lotito: “Tudor si sentiva padrone della società. Con Sarri rapporto sereno. Scelta Baroni? Il calcio è per pochi”

Il patron biancoceleste dice tutto sulla questione Tudor e Sarri della passata stagione

Claudio Lotito ha parlato ai microfoni di Dazn della situazione presente e passata della Lazio.

Lotito: “Immobile trattato come un figlio”

Su Formello…

“Non hai mai visto una roba del genere, eh!? Così non ce l’ha nessuno”.

Qual è la giornata tipo di Lotito?

“Io mi sveglio alle 6.00, dormo tre ore, forse tre ore e mezza. Farò 2.000 telefonate al giorno, forse anche qualcosa in più. Alle 8.30/8.45 sto in Senato fino a tarda sera, 22.45. Non ho tempo libero, quando torno a casa dopo un riposino di venti minuti in macchina mi metto a vedere tutta la posta arrivata, mi rendo conto talvolta di aver fatto le 4.00. Mia moglie ha messo la mia fotografia. Fin quando regge il fisico lo faccio, perché ho l’ansia e la voglia di cambiare le cose e pretendo che la squadra abbia lo stesso atteggiamento”.

È vero che spegne le luci a Formello?

Sì, ma non solo a Formello, anche in Senato. Lo faceva anche Berlusconi. Io non sopporto lo spreco. Le luci servono per illuminare un posto che dev’essere illuminato. Se ci sono delle persone è giusto che lo sia, ma se non c’è nessuno qual è la ragione?”.

Il suo passatempo è giocare a carte.

“Questo è un modo che ho per divagarmi. Gioco a scopa. L’avversario più complicato? Sono tanti, nel mondo del calcio in molti sono bravi a giocare a carte perché ci giocano molto. Inzaghi? Giocava bene, ma era molto fortunato. Lui è una persona che ha fortuna, è fatto positivo. Napoleone diceva che è meglio un soldato fortunato che uno bravo. Quindi essere fortunati è un valore aggiunto. Giocare con Bielsa? Ho provato a giocare una partita, ma mi son reso conto che il gioco che proponeva, non sportivo, era un gioco che non si attanagliava alle mie esigenze in considerazione del fatto che bisogna essere stabili. Quando uno assume una posizione, questa va tenuta”.

Che rapporto aveva con Sarri?

“Noi avevamo un buon rapporto. Lui ha le sue idee da un punto di vista politico e comportamentale. Si era però creata tra noi un’alchimia per il rispetto della persona, basata sulla stima della persona. Lui in un’intervista disse una frase che mi ha gratificato e sorpreso dicendo che fossi una delle persone più intelligenti che conosceva. Finita una partita abbordabile all’Olimpico, la squadra non era andata bene e quando ha visto la prestazione, nella sua stanza mi ha detto che la squadra non aveva più l’orgoglio di combattere. Io gli dissi che li avrei mandati in ritiro, lui accettò e venimmo in ritiro a Formello. Qualcuno si è lamentato, forse perché non avevano più un anima, e mi accorsi che il ritiro servì solo per confessarsi tra loro e tirar fuori questa posizione di contrasto verso l’allenatore, soprattutto da parte delle persone più titolate, che mi hanno fatto capire che la persona non era più gradita, anche se non avevano il coraggio di dirlo. Sarri ha deciso di andare via sul presupposto che non era più in gradi di governare lo spogliatoio. Io gli ho riconosciuto lo stipendio fino alla fine del campionato, potevo non farlo, si era dimesso. Lo feci per un fatto di rispetto. Poi andammo su Tudor”.

Cosa è successo poi con Tudor?

“Tudor ha assunto una posizione di comando come allenatore e ha portato cambiamenti sostanziali, tanto è vero che la squadra ha avuto un sussulto d’orgoglio. Poi, però, alla fine del campionato mi disse che bisognava cambiare una serie di giocatori che creavano problemi. Allora ho deciso che bisognava fare dei cambiamenti sostanziali, sradicare chi era convinto che fosse il padrone della società, che in realtà ha un padrone solo, un proprietario solo, che deve lavorare per il bene della società”.

Come nasce la scelta di Baroni?

“Abbiamo scelto un allenatore che parla il nostro stesso linguaggio, che ha fame e che vuole dimostrare. Anche sull’allenatore tutti mi hanno attaccato. Se ho intuizioni? Il pallone per tutti, il calcio per pochi”.

I tifosi erano scettici sull’arrivo del nuovo allenatore.

Il presidente di una squadra di calcio è un crocevia tra sentimenti di persone e ha l’obbligo di preservarli e tramandarli. Ha una responsabilità diversa che non è solo il profitto, ma portare il sorriso nelle case della gente, aiutare i più svantaggiati. Io faccio volare l’aquila e ha un costo, ma io lo faccio per regalare sorrisi ai bambini, ci sono cose che vanno fatte con il cuore. Ci sono tante persone che vivono perché c’è la Lazio, poi magari soffrono da un punto di vista fisico, economico, sociale. Vedono, però, la loro squadra del cuore e mettono da parte questi problemi. Io alla squadra dico di scendere in campo per questa gente, di dare il 300%, di vincere a tutti i costi. Se lo fanno danno emozione a quelle persone che vivono per loro, loro esistono perché esistono i tifosi, altrimenti non sarebbero nessuno”.

Su Immobile…

“Sono stato un padre di famiglia anche per Immobile. Ciro l’ho preso che veniva da una situazione non performante all’estero. Quando è venuto qui lo abbiamo trattato come fosse un figlio, poi lui ha fatto il suo, in campo ci andava in lui. Ha dimostrato di essere una persona che aveva delle qualità, parlano i suoi gol e le sue prestazioni. Ha deciso di andare via, è stata una sua scelta e io l’ho accontentato”.

Su Luis Alberto…

“Lui è una persona molto particolare. Ha un umore altalenante. Chiedeva a tutti i costi il rinnovo del contratto e glielo abbiamo dato, poi ha cominciato a fare bizze. Una persona che non riesce a vivere in un contesto dove ci sono interessi comuni. Lui vuole stare al centro di sé stesso. Non è pensabile vivere in un contesto in cui i dovere sono degli altri e i diritti di una persona. Questo è impossibile”.

Su Klose…

“Klose è un grande campione. Ricorderò sempre una cosa che mi è rimasta scolpita nella memoria. Lui arriva a Roma nel giorno del suo compleanno, andammo a mangiare al ristorante con lui e la moglie. Gli feci trovare una torta con una candelina, abbiamo festeggiato e a una certa ora mi disse che doveva andare a riposare che il giorno dopo si sarebbe dovuto allenare. La professionalità era top. I giocatori si dividono in: normali, buoni, ottimi, campioni. I campioni si vedono da questi atteggiamenti”.

 

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