Giovani e Violenza: la voce del Dottor Adriano Segatori
Siamo in una società dannatamente violenta. Tragedie familiari, femminicidi, maltrattamenti, avvelenamenti e costanti atti di bullismo. Tutto ciò immerso in un freddo distacco e in un viscido silenzio. Stando agli ultimi fatti, balzati agli onori della cronaca, i protagonisti in alcuni casi, sono proprio giovani, anche adolescenti. Perchè?
Il Dottor Adriano Segatori, Psichiatra e giornalista, riferisce che “C’è un malessere diffuso. C’è un malessere diffuso nei giovani, ma che deriva a cascata, dal malessere degli adulti. Il problema è che tutti gli avvenimenti in corso e che purtroppo, senza nessuna profezia negativa accadranno, erano previsti. Un grande psicoanalista Junghiano, Aldo Carotenuto, un giorno mi disse che la cosa più difficile per una persona è avvertirla, metterla in guardia, su qualcosa che non va nella sua vita o nei suoi comportamenti, nel momento in cui invece, per questa persona, vanno bene”.
“L’Uomo senza gravità” titolo di un noto saggio di Charles Melman, grande analista, potrebbe secondo Segatori, riassumere tutto ciò. “Un adulto senza gravità, un anziano senza gravità, una giustizia senza gravità: viviamo in una società individualista, e i giovani rispecchiano semplicemente il clima diffuso che gli adulti più o meno inconsapevolmente, più o meno con complicità, hanno creato”.
Stando alle parole e al pensiero di Segatori, il problema della violenza starebbe nella paura e nell’insicurezza altamente diffuse. In particolare “Una paura del futuro, che non è più roseo, non è più un avvenire. E un’insicurezza dovuta all’assenza di educazione”.
La visione di molti: lo stress e la pressione del periodo post-pandemico
”Da fonti ufficiali, le conseguenze più evidenti, per quanto riguarda il discorso giovanile, sono gli autolesionismi, più che l’aggressività. Il senso di chiusura ha determinato delle alterazioni dal punto di vista dell’approccio alimentare, della sicurezza di se, della volontà di uscire e di confrontarsi con la realtà esterna”. Questo, aggravato dall’uso delle tecnologie, che hanno sì, facilitato il mantenimento di un rapporto relazionale, ma con uno schermo, freddo, gelido, distante. L’enorme limitazione delle attività sociali, nel vero senso del termine, totalmente differenti dal “social” di una piattaforma di ultima generazione, hanno favorito l’introversione.
Competizione o Prestazionismo?
L’elemento competitivo nelle relazioni interpersonali, nel lavoro, nella famiglia, può essere considerato influente per la generazione di forme di violenza? “No. Non bisogna confondere poi, la competizione con la prestazione. Viviamo in un’epoca di prestazionismo. In campo sportivo, in campo sociale. L’uso di sostanze stupefacenti potrebbe esserne un chiaro esempio. Nello specifico, si intende il raggiungimento di un obiettivo a qualunque costo e a qualunque risultato. Magari ci fosse competizione, perchè competizione invece significa che ognuno, in base alle proprie qualità, alla propria genetica… può migliorare le proprie prestazioni, aumentare le proprie competenze ed entrare in competizione con gli altri. Il prestazionismo, dunque è legato all’invidia. La competitività alla soddisfazione di raggiungere un risultato e di superarlo”.