Tra guerra e pace, c’è un’enorme differenza nel trattare l’argomento, anche dal punto di vista dei media. Tanto è vero che, si dice, la pace non faccia rumore e per mesi non ha fatto neanche notizia. Ad esempio, si parla di un cessate il fuoco, che però non è sinonimo di pace, argomento di cui invece se ne sente un accenno ultimamente alla luce di alcuni fatti recenti.
C’è stato un periodo in cui – anche in Italia – proporre una soluzione non militare alla guerra in Ucraina valeva l’accusa di essere filo-russi, amici cioè dei cattivi. È capitato anche a Papa Francesco e al Vaticano: da sempre ed in qualsiasi conflitto, si sono fatti portavoce del dialogo come unica alternativa all’uso delle armi.
La parola “pace” è apparsa tra i discorsi dello stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky il quale ha ipotizzato di invitare al tavolo delle trattative Mosca, anche guardando alla piega che sta prendendo la campagna elettorale americana: sembra infatti suggerire un cambio di orientamento a Washington e di riflesso anche nella possibile strategia della Nato. Così il tema non sembra più essere un tabù anche in quell’Europa che fino a poche settimane fa, sembrava fare il tifo perché il conflitto si allargasse.
Si parla di pace da quando…
L’intenzione di Zelensky è quella di sviluppare un piano d’azione per la pace con la Russia entro la fine di novembre. Lo ha dichiarato in un’intervista all’emittente giapponese NHK, ragionando su quali siano gli sviluppo relativi alla guerra in corso nel Paese. Ma nel Paese, dove da due anni e mezzo prosegue una guerra che sembra essere infinita, qual è la situazione? E quante delle parole che vengono dette rispecchiano la realtà? Forse, basterebbero pochi minuti sotto le bombe per tentare di provare quello che prova quotidianamente chi in quelle terre ci abita. Questo servirebbe per capire cosa significhi davvero vivere in guerra, quando ogni secondo si rischia di morire e si devono fare i conti con le privazioni che un territorio ridotto a macerie impone ai superstiti.
Dall’Ucraina arrivano testimonianze di chi in quelle terre c’è stato per portare soccorso alla popolazione, garantire cibo e generi di conforto o assicurare supporto medico e psicologico a vittime e testimoni. Queste testimonianze sono in tal senso il migliore antidoto ai dibattiti e alle polemiche da bar: perché quando si vive in guerra, è più facile capire che non esiste una pace giusta perché la guerra non può essere mai giusta.