Dopo l’attentato di Banjska di fine settembre che costò la vita ad un poliziotto kosovaro, torna a salire la tensione tra Pristina e Belgrado.
A Vushtrri, sulla strada tra Pristina e Mitrovica, i militari della KFOR, ovvero la missione della Nato in Kosovo, e i carabinieri italiani hanno trovato delle munizioni e delle armi illegali. Si ipotizza che dei paramilitari filoserbi stessero preparando un nuovo raid ai danni dei kosovari filoalbanesi. Le indagini sono ancora in corso.
Il 25 settembre scorso un commando di 30 paramilitari serbi avevano aperto il fuoco contro la polizia kosovara nel monastero di Banjska, nel nord del Kosovo, per poi scappare ed essere arrestati a Belgrado, salvo essere rilasciati il giorno dopo.
Da comprendere perché proprio ora, in questo periodo, le tensioni tra Serbia e Kosovo siano tornate a salire e, soprattutto il ruolo di Vucic e del suo governo serbo dietro a questi raid. In tutto questo Edi Rama, presidente albanese, aveva chiesto di trovare una soluzione internazionale in stile Dayton per risolvere, una volta per tutte, una situazione ancora tutta in evoluzione a due passi dall’UE e dall’Italia.
Le tensioni tra Pristina e Belgrado
Dopo la guerra del 1999 il Kosovo è diventato indipendente dalla Serbia, divenendo ufficialmente uno Stato riconosciuto da più di 100 Paesi nel 2008. Belgrado ancora non riconosce Pristina come entità statale tanto da considerarla ancora oggi una parte della Serbia.
A mantenere l’ordine dal 1999 c’è il KFOR, la missione Nato a cui aderisce anche l’Italia. Dopo anni di distensione a settembre dei paramilitari filoserbi hanno attaccato il monastero di Banjska. Un simbolo questo per i serbi e per i serbi kosovari essendo quello un luogo sacro per la storia ortodossa e medievale della Serbia a cui si rifaceva anche Milosevic nella sua propaganda.