Allergie alimentari, un farmaco riporta nel piatto il cibo “proibito”: lo studio del Bambino Gesù

Un farmaco per ridurre il rischio di shock anafilattico da allergie alimentari è già una conquista, ancora di più dopo la tragedia avvenuta pochi giorni fa a Roma. Vittima una 14enne inglese, allergica alle arachidi, morta dopo aver mangiato un dolce. Ma la novità non è solo nella riduzione del rischio, ma anche nella possibilità di cura per i bambini che soffrono di allergia alimentare che possono vedere tornare nel piatto il cibo “proibito”.

Uno studio osservazionale dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma conferma la sicurezza dell’Omalizumab che riduce il rischio di reazioni e permette di recuperare una dieta meno severa e, quindi, una migliore qualità di vita.

Allergie alimentari, un farmaco per ridurre il rischio di shock anafilattico: dieta libera per il 60% dei bambini

Il grado di sicurezza del farmaco per le allergie alimentari – un anticorpo monoclonale già utilizzato per l’asma – è stato verificato e confermato da uno studio osservazionale condotto da clinici e ricercatori dell’unità di Allergologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Dopo 12 mesi di trattamento, oltre il 60% dei piccoli pazienti coinvolti nella ricerca ha potuto adottare un’alimentazione completamente libera, senza restrizioni.

Per i bambini con allergie alimentari fino a qualche tempo fa le principali strategie di cura erano evitare gli alimenti responsabili o la desensibilizzazione, processo di introduzione pilotata dell’alimento, tramite specifici preparati, per innalzare la soglia di tolleranza. La terza via di trattamento oggi è anche farmacologica.

La terapia farmacologica

La terapia farmacologica per gli allergici agli alimenti consiste nella somministrazione dell’Omalizumab, un anticorpo monoclonale che mantiene innocue le IgE circolanti nell’organismo. Già in uso per l’asma, all’inizio del 2024 è stato approvato dall’FDA americano come primo farmaco per l’allergia alimentare con l’indicazione, tuttavia, di continuare a evitare l’alimento che scatena le reazioni.

Un recente studio Usa, pubblicato sul New England Journal of Medicine, aveva documentato la capacità del farmaco di innalzare la soglia di reazione agli alimenti, rappresentando una sorta di scudo protettivo. Altre esperienze cliniche hanno attestato nel tempo l’efficacia dell’anticorpo monoclonale per le allergie alimentari. All’ospedale pediatrico Bambino Gesù l’Omalizumab viene utilizzato già da 10 anni come strategia di riduzione del rischio nei bambini con asma grave e allergia agli alimenti.

I risultati dello studio del Bambino Gesù

Lo studio osservazionale condotto da clinici e ricercatori dell’unità di Allergologia del Bambino Gesù, appena pubblicato sulla rivista scientifica Allergy, ha indagato il grado di sicurezza della terapia farmacologica in caso di reintroduzione dell’alimento nella dieta del bambino allergico, confermando che gran parte dei piccoli allergici può tornare a mangiare cibi che prima gli erano preclusi.

Nella ricerca sono stati coinvolti 65 bambini con asma ed allergia alimentare trattati con Omalizumab per un periodo di 12 mesi. Dall’osservazione del gruppo di pazienti seguiti al Bambino Gesù è emerso che con il trattamento farmacologico le soglie di reazione all’alimento vengono moltiplicate (per il latte 250 volte, per l’uovo 170 volte, per la nocciola 250 volte, per l’arachide 55 volte) e il numero delle reazioni anafilattiche viene drasticamente ridotto (dai 98 casi registrati nei 12 mesi precedenti il trattamento farmacologico alle 8 reazioni durante il periodo di cura con l’anticorpo monoclonale).

Torna nel piatto il cibo “incriminato”

Tra i dati più rilevanti dello studio, quello riguardante l’introduzione nella dieta, in sicurezza e senza manovre di desensibilizzazione, degli alimenti precedentemente evitati: una possibilità per l’88% della popolazione studiata. Poiché molti bambini coinvolti nella ricerca erano allergici a più alimenti, la percentuale di quelli che hanno ottenuto una dieta completamente libera, senza restrizioni, è del 61,5%.

“Con il trattamento farmacologico tutti i bambini del gruppo hanno potuto smettere di osservare l’etichettatura precauzionale degli alimenti alla ricerca della dicitura ‘potrebbe contenere…’, pratica che limita di molto le scelte dei pazienti allergici alimentari” spiegano la dott.ssa Stefania Arasi, allergologa, prima autrice dello studio e il prof. Alessandro Fiocchi, responsabile di Allergologia del Bambino Gesù e coordinatore della ricerca.

“Oltre a ciò, – proseguono – lo studio documenta che i genitori e i pazienti si rilassano, il loro indice di qualità della vita viene normalizzato non dovendo più essere condizionati in maniera incombente dal mangiare per errore qualcosa di sbagliato. I dati osservazionali del nostro studio dovranno essere replicati in maniera prospettica, ma la terza via per una vita migliore per i bambini allergici alimentari è aperta”.



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