I tamponi Covid, tanto utilizzati durante il periodo della cosiddetta pandemia, sono uno strumento di dubbia attendibilità e affidabilità. Uno studio scientifico è giunto a questa conclusione: hanno fornito in molti casi risultati falsi, amplificando il clima di paura che indusse molte persone a recarsi negli hub vaccinali.
Cosa diceva l’inventore del test PCR?
La semplice positività al test avrebbe dovuto essere accompagnata da un’osservazione clinica del paziente da parte del medico: un’accortezza di buon senso, prima ancora che una buona pratica medica, completamente ignorata durante il periodo pandemico.
Kary Mullis, il biochimico inventore del test PCR – ovvero la tecnica di laboratorio a cui è sottoposto il tampone – dichiarò che non avrebbe dovuto essere utilizzato per finalità diagnostiche.
Lo studio del duo Franchi-Serpieri
Asseritamente il test PCR nacque per consentire di amplificare e leggere sequenze genetiche, ma oggi alcuni scienziati mettono in dubbio anche questa funzione.
Secondo uno studio condotto dall’ingegnere Roberto Serpieri dell’Università Luigi Vanvitelli e dall’infettivologo Fabio Franchi, il test PCR è uno strumento non soltanto inaffidabile, ma improponibile. Non consentirebbe infatti di leggere il DNA: quest’ultimo, sottoposto a temperature elevate, oltre 95 gradi, come avviene nel test Pcr, subirebbe una significativa perdita di integrità strutturale. Lo studio è stato sottoposto a peer review, cioè alla revisione di altri scienziati e pubblicato sulla rivista Quartelery Reviews of Biophysics. La conclusione dei due ricercatori è che il test PCR fornisce informazioni non attendibili per applicazioni diagnostiche e forensi.
Le domande allora sono: come mai il test PCR continua ad essere utilizzato per queste finalità e come mai lo studio del duo Serpieri-Franchi non è oggetto di ampio dibattito nel mondo scientifico e non?
A questo link puoi trovare la puntata integrale di “Camelot – una Tavola rotonda per la Verità”, andata in onda mercoledì 16 ottobre.