Marina Abramović, colei che ha sfidato i limiti dell’essere umano (VIDEO)

Marina Abramović: attraverso i muri

Ospite in collegamento: Cinzia Giorgio, direttrice di “Pink Magazine Italia”

A Belgrado nel 1946 nacque una bambina il cui destino ha segnato la traiettoria dell’arte contemporanea in chiave di installazioni e performance: Marina Abramović. Anche per chi non è un cultore dell’arte, questo nome non è nuovo e, sia per vie traverse che dirette, tutti sanno chi è quest’artista.

Per descrivere la sua arte si possono usare 3 termini: rivelazione, turbamento e scardinamento. Nella sua autobiografia “Attraversare i muri”, lei stessa racconta come tutto è iniziato, come un percorso già segnato da eventi, dei segni premonitori. Con dei colori e una tela iniziò a dipingere per poi dare fuoco alla tela e spiegando che quello era un tramonto. L’arte, per Marina, è stata una via di fuga dai rapporti complessi con i genitori, in particolare con la madre. Quella che a molti sembra un’arte assurda e senza senso è, invece, il modo di raccontare il suo IO e che assume, per certi versi, un gusto antropologico.

È nell’incontro con Joseph Beuys che l’arte di Marina Abramović prende una traiettoria che la renderà immortale. Resta affascinata dal movimento del Fluxus e dagli happening che in quel periodo si stavano diffondendo come modo alternativo alla classica arte. Questo momento sancisce il distacco dal mondo figurativo per andare, nel corso del tempo, a sperimentare un’arte estrema e, a volte, pericolosa per l’integrità fisica. Ma è proprio il corpo che viene usato come un oggetto d’arte, bersaglio dei visitatori, spesso messi nella condizione di agire andando contro quel corpo.

Nel corso della sua biografia, Marina Abramović parla anche dell’unico grande amore della sua vita, recentemente scomparso: l’artista Ulay. Con lui non ha condiviso solo un sentimento profondo ma anche una visione dell’arte che non conosce limiti. Con Ulay creò la performance “Imponderabilia” nel 1977, dove entrambi nudi si misero all’ingresso della Galleria d’Arte moderna di Bologna.

Per passare, i visitatori dovevano decidere se rivolgersi a Marina o a Ulay. Dovevano scegliere chi affrontare basandosi su diverse motivazioni come il preferire il corpo femminile a quello maschile. Un’opera forse troppo moderna per una società che all’epoca vedeva il corpo ancora come un tabù. La performance fu infatti fermata dopo alcune ore dalla polizia.

È il 2010 e al MOMA di New York, Marina realizza la sua performance “The artist is peresent”: lei, seduta davanti un tavolo, attende che le persone si siedano dall’altra parte. È immobile ma la performance vuole sottolineare l’inesistenza dell’opera d’arte senza il suo autore.

È un modo anche per capire il modo in cui le persone si avvicinano all’arte. Ulay, come tornato da un passato lontano, è lì e si siede davanti Marina. Lei apre gli occhi e la sua fermezza crolla. È impossibile non notare i suoi occhi e le emozioni che prendono il sopravvento. Un amore come il loro ha resistito al tempo. Un amore fatto di rispetto e stima reciproca che si materializza davanti i tanti spettatori presenti in quel momento. Anche questa è arte.

Marina Abramović ha sfidato l’arte, le convenzioni, una mentalità che ancora oggi risulta chiusa per molti aspetti. Ha sfidato sé stessa e l’essere umano. Ha mostrato una parte di lei perché è questo quello che un’artista fa: donare una parte di sé, come fosse un’autobiografia vivente. Non importa gli ostacoli, ciò che conta è il futuro e le nuove generazioni conosceranno quest’artista che ha diviso per anni l’opinione pubblica e i critici d’arte. Marina Abramovic, attraverso i muri è andata oltre quello che si pensava fosse possibile fare con l’arte.

“Ottobre rosa”, non smettiamo di parlare di prevenzione

Ottobre 2024. Tante iniziative che confluiscono tutte nella campagna del Nastro Rosa, attraverso la quale le donne over 35 potranno accedere gratuitamente agli esami diagnostici e verrano divulgati anche degli opuscoli nei quali sarà possibile comprendere ancor di più, la necessità di fare prevenzione, con controlli periodici ed esami mirati come la mammografia.

Ancora oggi il tumore al seno colpisce una donna su otto e risulta essere il nemico più acerrimo

La campagna nasce nel 1992 grazie a Evelyn Lauder – donna d’affari austriaca e filantropa – che è riuscita a far diffondere in tutto il mondo questa manifestazione, aiutando in modo concreto a fare diagnosi precoce e a sovvenzionare la ricerca, aiutandola a fare passi da gigante. Le statistiche parlano chiaro: oggi, le pazienti affette da questa forma tumorale hanno l’87% in più di sopravvivenza a cinque anni dalla prima diagnosi.

Tutti i distaccamenti sparsi sul territorio nazionale della Lilt sono impegnati in una fitta divulgazione di informazioni e nell’organizzare gli screening. Ogni regione ha il suo distaccamento, ogni regione ha il suo “faro rosa”, che porterà come ogni anno la possibilità di prevenire e di curare questa patologia che ha fatto tante vittime, ma che sta perdendo il suo dominio, grazie all’incessante lavoro che c’è anche grazie a questa manifestazione.

In Italia, tutto ha avuto inizio a Roma il 2 Ottobre con l’illuminazione in rosa del foro Romano, nel parco archeologico del Colosseo

Con la prevenzione proteggiamo la nostra salute. Per questo oggi sono al fianco della LILT per dire alle donne di tutte le età: prediamoci cura di noi stesse, non trascuriamo le visite periodiche. Bisogna avere sempre la forza di non mollare e di guardare in faccia questo mostro che, subdolo e infame, cerca di strappare le nostre vite alla loro bellezza e unicità.

Dobbiamo avere chiaro il concetto che non si deve mai pensare di essere immuni a tutto questo, ma ugualmente consapevoli di non essere sole e capaci di affrontare questa malattia attraverso la prevenzione.

Moda: 5 errori da non commettere

Coco Chanel aveva ragione, la moda è volatile, passa. La vera risorsa che abbiamo a disposizione è lo stile, quello nostro, personale, che non va mai mutato. Sono i trend a dover essere adattati al nostro stile e non il contrario. Detto ciò ecco cinque errori frequenti ma da non commettere mai per evitare cadute di stile.

Ci hanno insegnato ad abbinare sempre la borsa alle scarpe. Sbagliato. Questi due accessori culto per alle donne non sono soggetti a rigide combinazioni. Anzi. Abbinare borsa e scarpe è abbastanza démodé.

Di gran moda quest’inverno, l’animalier di tanto in tanto ritorna sulle passerelle e nei nostri armadi sotto le forme più disparate: abiti, accessori, dettagli. Si tratta di stampe che riprendono il disegno del manto di animali come il leopardo, la tigre, la zebra e così via. Bello, bellissimo ma non più di un capo alla volta. Non siamo Sheena la regina della giungla.

Il troppo stroppia

Chanel diceva che prima di uscire bisognava guardarsi allo specchio e togliere qualcosa. Ecco, vale anche oggi. Troppe collane fanno albero di Natale; troppo colore fa Picasso; troppo trucco fa Cleopatra; troppi accessori fanno esibizionista; troppe griffe fanno donna-cartellone pubblicitario, e così via. L’unica eccezione è il nero, che non è mai troppo.

Jeans sì ma non la divisa

Come per l’animalier, è meglio evitare di vestirsi completamente di jeans, partendo dai pantaloni, per finire alle giacche e alle camicie. Il jeans è un capo straordinario, che salva la vita ma ricoprirsene dalla testa ai piedi non va bene. Se poi le tonalità del tessuto non sono identiche è meglio lasciar stare. Invece va più che bene abbinare jeans con tessuti impalpabili come chiffon e seta.

Mai più di tre colori

Sfatiamo alcuni miti che ci fanno commettere errori banali: i colori che ci sembravano non abbinabili possono riservarci delle belle sorprese. Ce lo ha insegnato Yves Saint Laurent con l’ardito abbinamento blu/nero e lo hanno ribadito anche i felici accostamenti rosa/rosso, viola/giallo, oro/nero e così via. Osate, osate, osate ma… non più di tre colori alla volta per evitare l’effetto Arlecchino! Fanno eccezione ovviamente i capi multicolor da abbinare però con pochi, sobri accessori neutri.

 

 

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