Disagio giovanile, è allarme dopo la nuova assurda sfida social: la “Sex Roulette”
Ospite in collegamento: Gaia Vicenzi, psicologa e psicoterapeuta
La nuova assurda sfida social spaventa, e tanto. Si chiama “Sex Roulette” e coinvolge i giovanissimi: ci si incontra in case, parchi, luoghi appartati e si hanno rapporti sessuali con completi sconosciuti. “Perdi se rimani incinta”. Ovviamente non c’è solo l’incognita della gravidanza, ma anche (e qui è ancora più allarmante) quella delle malattie sessualmente trasmissibili.
A Roma è stato registrato il caso di una 14enne rimasta incinta: la storia è stata resa nota dall’avvocata Marina Condoleo, che ha conosciuto la giovanissima nell’ambito del progetto Legal Love. “Mi ha detto che non conosceva il padre, […]. Era turbata non solo per il fatto di essere incinta, ma per il fatto di aver perso la challenge. Oggi è al sesto mese di gravidanza, l’ha voluto tenere ed è stata aiutata dalla mamma”. La ragazza e la famiglia adesso sono fuori Italia.
Di challenge a limite della follia non è la prima volta che se ne sente parlare: casi di giovanissimi che hanno perso la vita davanti ad un pc, con l’assurda pretesa di vincere giochi senza alcun senso. Ma è chiaro che dietro tutto ciò c’è qualcosa di molto più ampio che va analizzato. Il disagio giovanile, la perdita di contatto con la realtà, l’uso sempre più frequente di sostante psicotrope: tutti punti su cui gli esperti si arrovellano ormai da anni, indice del fatto che il problema c’è e va affrontato.
Come intercettare il disagio giovanile?
Come capire quando i giovani hanno un problema? Nella fase delicatissima dell’adolescenza è spesso impossibile stabilire un dialogo: molti di loro tendono a chiudersi, a non voler comunicare, ad essere (notoriamente) in lotta con i propri genitori. È solo il dialogo l’unica chiave di svolta?
“Sembrerà scontato dirlo, ma sì: il dialogo è un elemento decisivo – ha spiegato Gaia Vicenzi – anche se non univoco: a lungo andare se riusciamo a creare un ambiente favorevole, qualcosa germoglia. Se riusciamo a fornire a questi ragazzi gli strumenti per esprimere il loro malessere, possono farlo. Devono capire che possono fidarsi di noi”.