Quando nell’autunno del 2022 l’economia europea iniziò a pagare le conseguenze della prima, massiccia fiammata delle bollette energetiche come conseguenza indiretta dello scontro economico apertosi a margine della guerra in Ucraina dopo le sanzioni imposte dalla comunità internazionale, capi di governo ed economisti si affrettarono a dire che era troppo presto per vedere gli effetti dei primi provvedimenti sulla Russia ma che, nei mesi successivi, il sistema economico russo sarebbe entrato in crisi e questo avrebbe contributo a fiaccare la potenzia bellica di Mosca e dunque a influenzare le sorti del conflitto in corso alle porte dell’Europa.
Sono passati quasi due anni da quelle previsioni e non solo la guerra non è ancora finita ma anche l’economia russa non sembra affatto in crisi come invece avevano auspicato i sostenitori delle sanzioni. Anzi, nel frattempo alle prime misure occidentali sugli scambi internazionali del Cremlino si sono aggiunti i provvedimenti che hanno fissato dei tetti ai prezzi dei prodotti petroliferi: risultato, almeno in parte la fiammata speculativa sulle materie energetiche si è assopita ma non in misura tale da ridare ossigeno alle aziende e alle famiglie europee – e in particolare italiane – che erano state letteralmente travolte da una montagna di rincari non solo nelle bollette di luce e gas ma anche, a cascata, sui prezzi di tutti quei prodotti e quelle tariffe che inevitabilmente risentivano delle oscillazioni delle materie energetiche.
Ma l’economia russa come ha reagito alle misure economiche introdotte dalla comunità internazionale? A quanto pare bene, o comunque meglio di come l’Europa aveva sperato: secondo i dati dell’Ufficio statistico russo, l’anno 2023 ha registrato un aumento del 3,6% del prodotto interno lordo russo che è superiore alla crescita media dell’economia globale. Dati che, certo, richiedono cautela nell’interpretazione ma che tuttavia sembrano molto verosimili considerando anche la revisione al 3% della stima da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI): a guidare la resistenza dell’economia russa, per certi aspetti cresciuta più velocemente di quella mondiale, le industrie del petrolio e del gas che hanno sostenuto la resilienza economica fornendo valuta estera al Cremlino e spostando il focus economico della Russia verso l’Asia.
Per gli analisti occidentali, però, il trend economico di Mosca risente anche di altri interventi a cominciare dalla politica monetaria: per gestire l’afflusso di valuta estera e contenere l’inflazione dovuta alla guerra, la politica monetaria russa ha regolato attentamente il valore del rublo, aumentando il tasso di interesse al 20% nei primi mesi della guerra, abbassandolo al 7,5% alla fine del terzo trimestre del 2022 e mantenendolo stabile fino a giugno 2023, per poi aumentarlo gradualmente al 16% (valore, questo, che secondo gli osservatori occidentali la Banca centrale russa desidererebbe mantenere almeno fino alla seconda metà del 2024).
Cosa però accadrà in questo anno appena iniziato è ancora difficile da prevedere: gli economisti occidentali ritengono improbabile che la crescita sostenuta del secondo semestre del 2023 si ripeta ancora, anche perché la spinta della politica fiscale legata allo sforzo bellico si sta esaurendo e la politica monetaria ha pochi margini di azione. Il mercato del lavoro è surriscaldato: con un’occupazione che ha superato i 74 milioni e un aumento significativo della produzione manifatturiera militare che ha innalzato i salari, generando pressioni inflazionistiche. Anche notando la resilienza mostrata dall’economia russa sembra davvero che le aspettative su un effetto negativo per le politiche economiche di Vladimir Putin sono rimaste deluse. Questo perché le nuove dinamiche geopolitiche multipolari offrono a Mosca margini di manovra sottovalutati: i paesi non soggetti alle stesse sanzioni degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, come Brasile e India, stanno diventando sempre più rilevanti economicamente, offrendo a Mosca alternative finanziarie e commerciali.
E mentre si prevede un’ulteriore escalation delle sanzioni verso la Russia, in particolare quelle “secondarie” che colpiscono coloro che fanno affari con Mosca, nelle ultime settimane la guerra economica scoppiata con l’occidente parallalemente alla drammatica guerra sul territorio ucraino ha riservato nuovi clamorosi sviluppi: in risposta alle sanzioni e ai sequestri imposti da Bruxelles ai capitali russi di aziende e patrimoni riconducibili alla laedershop russa e agli oligarchi vicini a Vladimir Putin, il Cremlino ha disposto la nazionalizzazione di una manciata di aziende occidentali tra cui l’italiana Ariston per la quale il governo Meloni sta già studiando contromisure. Dal canto suo, invece, i vertici europei hanno stanziato un fondo da un miliardo per la ricostruzizone dell’Ucraina le cui risorse saranno garantite proprio dal patrimonio russo sequestrato dall’inizio del conflitto.
Ma perché il Cremlino ha deciso di nazionalizzare le aziende private che operano sul territorio russo? Che ne sarà delle imprese coinvolte e quali conseguenze avrà questa ulteriore presa di posizione? E’ il tema della puntata odierna di Extra, in onda con Claudio Micalizio ogni giorno alle 21.15 su Radio Roma News (canale 14 del digitale terrestre a Roma e nel Lazio): in collegamento da Mosca interverrà il senatore Dmitry Vorona, eletto presso il Senato della Federazione Russa in rappresentanza della regione di Zaporizhia e membro del Comitato competente sull’economia.