Il mercato delle app: tra pubblicità e promozioni

Il mercato delle app è una realtà in espansione continua. Da quando si è imposto l’e-commerce e da quando i servizi digitali si sono diffusi a macchia d’olio tra la popolazione, le applicazioni sono divenute parte integrante dell’offerta di navigazione da mobile. Un dato, su tutti, rappresenta bene la portata di questa tendenza: l’App store di Apple, nato nel 2008, ad oggi raccoglie 1,8 milioni di applicazioni, oltre cento volte in più rispetto a quelle disponibili agli esordi. Senza contare che, parimenti, la diffusione delle app di ogni genere riguarda anche il grande competitor Android.

Che si tratti di applicazioni di utilità, come quelle per accedere a conti digitali e banche online, di praticità quotidiana, come quelle connesse alle fidelity card di store e supermercati, o di pure esperienze ludiche, le applicazioni, soprattutto quelle gratuite, ormai sono la modalità preferenziale di interazione degli utenti che si connettono da smartphone, tablet e mobile.

Si è parlato di gratuità: il più delle volte, infatti, le applicazioni si possono scaricare sul proprio dispositivo in forma totalmente free, anche se alcune sono a pagamento, fin dalla versione basica.

Perché, allora, si parla di mercato delle app? In che modo le aziende dei vari comparti possono monetizzare, partendo dalla proposta al pubblico degli internauti di una propria applicazione nativa?

La raccolta dei dati a fini commerciali: il valore di uno scambio

Un aspetto che a volte passa in secondo piano è quello dell’utilità delle app come strumento di marketing per le imprese, e non solo da un punto di vista strettamente commerciale. Sarà capitato a tutti di essere invitati ad effettuare il download di un’applicazione per poter ottenere un premio, uno sconto, un vantaggio di qualsiasi genere, da riscattare da smartphone anche in presenza, ovvero alle casse dei negozi.                                                                                             

Cosa ci guadagnano le aziende da questa pratica? Innanzi tutto i dati personali di chi si registra, utili per i database di profilazione e per avere un punto di partenza al fine di instaurare un futuro contatto con l’utente consumatore.

Facciamo qualche esempio, soprattutto in riferimento alle app che contengono l’accesso a un servizio, come quelle legate al mondo della telefonia: da queste applicazioni si può ricaricare il conto, visualizzare il saldo, contattare il servizio clienti, ottenere minuti e giga extra. La gamma di funzionalità delle app è però piuttosto estesa anche nel caso delle applicazioni di home banking, trading online, servizi di rifornimento e utenze, oppure in quelle prettamente ludiche, dalle app di gaming alle app di slot machine offerte dagli operatori autorizzati di gioco a distanza, giusto per fare alcuni esempi.                        

L’ambito ludico è particolarmente attrattivo per il mercato delle app, visto che chi sceglie di divertirsi online ormai lo fa soprattutto da mobile, tra i ritagli di tempo e da qualunque luogo. Per questo gli operatori spingono molto sul mobile e sul multichannel per invitare nuovi utenti ad aderire al proprio sito, con tanto di incentivi attrattivi che invitano chi aderisce a lasciare i propri dati.

Le funzionalità in-app: dalla pubblicità alle vendite

Proprio il macrosettore dell’intrattenimento è esemplare rispetto a un’altra delle funzioni commerciali legate alle applicazioni, anche quando queste sono del tutto o in parte gratuite per gli utenti.

Il primo caso è quello delle app dei maggiori social network, da Twitter a Facebook, da Instagram a Snapchat, al cui interno vengono veicolati contenuti sponsorizzati e annunci, spesso inerenti agli interessi dell’utente e alle sue recenti ricerche sul web. I click sul banner generano guadagni così come il numero delle “impressioni”, e lo stesso vale per quegli annunci che vengono visualizzati quando si scarica una app free per videogiocare oppure per comprare da un marketplace. Ormai quello degli introiti pubblicitari – a partire dal caso di Youtube – non è una novità in riferimento all’universo delle app.

Una più recente novità è invece quella degli acquisti in-app, che deve la sua fama e la sua diffusione soprattutto alle applicazioni del comparto ludico, di cui è un esempio clamoroso Fortnite. La possibilità di acquistare oggetti funzionali al gioco per progredire nella sfida ha fatto la fortuna di Epic Games, seguito a ruota da altre realtà similari del settore. La dice lunga il fatto che il gigante Google ha offerto quasi 150 milioni di dollari proprio alla stessa Epic Games per avere nuovamente l’app di Fortnite disponibile sul proprio store.

Il modello freemium

Un ultimo caso in cui le app producono guadagni verso le casse aziendali è quello del modello “freemium”, un incontro tra “free” (gratis) e premium, ovvero a pagamento, come esemplifica lo stesso termine.                  Si tratta di una tipologia di approccio per cui i contenuti basici delle app vengono offerti gratis, come nel caso di Youtube o Spotify, per citare due dei più noti. Gli utenti che vogliono accedere alle funzionalità estese, senza pubblicità, e con contenuti extra, possono abbonarsi al servizio in forma premium, spesso promosso con sconti e vantaggi proprio per favorire la conversione. Funzionano così, oltre ai casi citati, anche altre app di servizio, come quelle per il clouding e lo stoccaggio fotografico, oppure per la grafica, il montaggio, l’elaborazione di foto, e molte altre ancora.



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