Questa notte il murales nel ricordo di Shireen Abu Akleh in via di Valco San Paolo è stato nuovamente vandalizzato. Neanche 10 giorni fa sopra la meravigliosa opera di street art targata Erica Silvestri era stata gettata della vernice rosso sangue ed era stata scritta l’elegiaca parola “assassini“. La stessa artista insieme ad altre ragazze e ad altri ragazzi aveva provveduto a restaurare il murales. Questa mattina il quartiere San Paolo di Roma Sud si è svegliato con un nuovo atto riprorevole e vandalico. Questa volta la bandiera palestinese facente parte del murales è stata cancellata. Al suo posto una stella di David.
Probabilmente non è un caso che ciò sia avvenuto a ridosso di una nuova manifestazione a Piazza Vittorio, manifestazione partecipata da migliaia di persone e volta a chiedere diritti per il popolo di Gaza che in queste ore sta morendo sotto le bombe e di fame a causa dell’assedio voluto da Israele.
Sono 1600 i bambini uccisi a Gaza nelle ultime due settimane, ad annunciarlo è l’Unicef. Nonostante tale tragedia il clima d’odio, anche a livello popolare e dunque non solo istituzionale, continua ad avvelenare i pozzi del dibattito pubblico.
La condanna per il murales vandalizzato
Io, Andrea Candelaresi, in qualità di giornalista e di organizzatore di tale murales, organizzato anche da Radio Roma, Giovani Palestinesi di Roma e Join The Resistance e, lo ricordo, patrocinato dall’VIII Municipio di Roma e dalla FNSI, condanno duramente questo reiterato atto vandalico nei confronti di un’opera d’arte popolare. Condanno aspramente anche chi, con l’arma del vile e codardo vandalismo notturno, tenta volutamente di infangare la memoria di una giornalista morta per la verità e che nulla aveva a che fare con Hamas.
Non posso poi che evidenziare, nuovamente, ahimè, come tale gesto sia solamente indice di qualcosa di meno tangibile, ma purtroppo potente poiché strisciante nelle maglie della società, che si sta espandendo come un cancro incontrollabile: quello dell‘odio. Un odio che rende ciechi e che inquina in maniera irreversibile il dibattito pubblico senza che si possano trarre da esso conclusioni pacifiche e costruttive, come dovrebbe essere in una democrazia sana.
Un odio volutamente indotto dalla corruzione di parte del sistema mediatico che attraverso fake news, notizie poco chiare e illuminando in maniera parziale, come un faro di notte, solo ciò che fa comodo raccontare della tragedia che sta vivendo la regione della Palestina non fa che generare confusione e alimentare la retorica della tifoseria.
Un sistema di comunicazione che crea incomunicabilità tra le parti, un ossimoro che fa paura perché, come dicevamo, l’odio è un cancro nella nostra società e invece che fare da medici molti comunicatori hanno deciso di staccare la spina di quel malato terminale che è il dibattito pubblico italiano. A mio avviso, da amante della comunicazione, della pace e del dibattito costruttivo e aperto a tutti, in Italia si dovrebbe fare un grande mea culpa e ricominciare a comunicare con l’intento di informare ed edificare arrivando alla sintesi delle parti, piuttosto che alla guerra mediatica.
Chi era Shireen Abu Akleh a cui è dedicato il murales
L’11 maggio 2022 la libertà di stampa globale è stata colpita duramente. A farne le spese è stata Shireen Abu Akleh, giornalista palestinese di Al Jazeera, colpita a morte dall’esercito israeliano durante uno dei suoi tanti servizi nei campi profughi di Jenin, in Cisgiordania. Non le è bastato il giubbotto antiproiettile con la scritta “Press” ben visibile sul busto, anzi, probabilmente è stata proprio la sua riconoscibilità in qualità di giornalista a farle perdere la vita.
Colpendo Shireen non solo si è uccisa una donna palestinese, ma si è messa anche a tacere l’ennesima voce che provava a raccontare ciò che accade negli angoli più martoriati del mondo, tra violenze e soprusi, il tutto con trasparenza e amore per la verità.
Ogni anno vengono uccisi almeno 80 reporter nel mondo e il numero degli omicidi ai danni dei giornalisti è in netta crescita, a dimostrazione di quanto si voglia zittire la verità con la violenza.
Ricordare Shireen serve a ricordare tutti quei giornalisti, quegli artisti, quei fotografi, quei teatranti palestinesi, ovvero tutti coloro che vogliono esprimersi liberamente per esporre le proprie idee, ma che puntualmente rischiano o perdono la loro vita per ciò. Ricordando l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’Onu “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione, e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e frontiera”, vogliamo sensibilizzare su tale questione ricordando Shireen, facendola rivivere per le strade della Capitale con un’opera a lei dedicata.